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Gli scavi archeologici alle pendici del Palatino

 

Scavi sulle pendici nord - orientali del Palatino - Ritrovamenti eccezionali

 

Iniziata il 29 agosto, si è conclusa il 21 ottobre del 2011 l’annuale campagna di scavi sul Palatino nord-orientale, diretta dalla Prof. Clementina Panella del Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza-Università di Roma. Lo scavo, che fa parte dei “Grandi Scavi di Ateneo” e che fruisce da alcuni anni del finanziamento della Fondazione BNC (“Progetto Curiae Vetetes”), ha accolto dal 29 agosto a fini didattici e di ricerca 120 studenti ed allievi della Sapienza e di altre Università italiane e straniere. 
Le operazioni hanno interessato tutta la pendice del Palatino, dalla Piazza del Colosseo all’Arco di Tito. Con i suoi 4000 m2. è la più vasta area di scavo archeologico aperta oggi nel centro di Roma. Al suo interno gravitano diversi monumenti finora ignoti, di straordinaria importanza per la storia insediativa di uno dei luoghi luoghi-simbolo della città antica e della città contemporanea. Ritrovamenti del tutto eccezionali sono le capanne della fine del IX/inizi dell’VIII secolo a.C., cioè anteriori alla fondazione della città che la tradizione fissa al 753 a.C., i resti dell’antico santuario delle Curiae Veteres attribuite dalla tradizione scritta a Romolo, i pozzi votivi con i loro depositi spettanti ad un secondo antichissimo santuario (metà/fine VIII secolo a.C.) che fronteggiava le antiche Curie sulla via che saliva dalla valle del Colosseo al Foro, una residenza aristocratica (probabile casa natale di Augusto) che si estendeva lungo la pendice del Palatino sino alla sella tra il Palatino e Velia, le grandi realizzazioni imperiali (neroniane, flavie, adrianee, severiane, tardoantiche) che caratterizzano il paesaggio di questo settore urbano fino alle destrutturazioni dell’insediamento del VI e VII secolo d.C., alle spoliazioni di età medievale e rinascimentale e agli sterri post-unitari.
Tremila anni di storia sono passati in questi mesi sotto gli occhi e tra le “mani”, degli archeologi, restituendo alla comunità scientifica e alla città un formidabile patrimonio di “memorie”.